A che distanza è il cielo

Recensione del romanzo di Bruno Manca

Amelia ha diciott’anni appena compiuti e da grande vorrebbe diventare pilota di linea. Solo che non è certa di avere la possibilità di raggiungere l’età adulta, è affetta da una grave malattia cardiaca e il cuore “usato sicuro”, pronto per sostituire il suo, che zoppica e sussulta nel petto nonostante i macchinari di supporto, si è schiantato insieme all’ambulanza in un grave incidente. Il prezioso organo è finito dritto filato su un cespuglio di rose, inutilizzabile, infilzato dalle spine e con qualche petalo sopra.

Non è facile parlare del dolore e della perdita di ogni speranza, specialmente se riguarda una persona giovane. Ogni cellula del nostro essere più profondo si ribella a questa possibilità, la rifiuta e la allontana da sè come qualcosa di innaturale e di troppo doloroso. Chi si avventura sulle sabbie mobili della scrittura rivolta a realtà dure e inaccettabili come questa rischia grosso, cadendo spesso nella retorica o nello sfruttamento del dolore e del dramma umano a scopi commerciali. E’ per questo che ho ammirato così tanto Bruno Manca, che è riuscito a realizzare un testo unico, nel quale ha avuto il coraggio di dare voce ad Amelia, la protagonista giovanissima, che è quasi sempre ferma a letto e ha occhi sul mondo esterno solo grazie a un drone e a un simulatore di volo che le ha costruito il padre. Attraverso la sua inconsueta testimonianza vediamo il mondo circostante: la desolazione incredula dei genitori adottivi, il padre più razionale e la madre più emotiva, il dialogo pieno di speranza con don Ste, la sua guida spirituale, gli incontri che Amelia riesce a fare nel tempo che le resta, che non anticipo nella mia recensione per non togliere al lettore la sorpresa della scoperta.

Tutto il libro è un omaggio a “Il Piccolo Principe” e il “Volo di notte” di Antoine de Saint-Exupéry, anche la metafora del cuore “usato sicuro” finito su un cespuglio di rose. Per usare le parole del grande aviatore-scrittore, Amelia “ci addomestica” e azzera le distanze tra se stessa e il lettore, grazie al suo libro che si può definire epistolare. Ogni capitolo è infatti una sorta di lettera, rivolta al Comandante che sta, appunto, nei cieli. Che si sia religiosi o meno, il libro ci porta all’accettazione, ci dona la speranza e ci fa capire che anche nelle tragedie può esserci un senso altissimo.

Merito dell’autore è stato il lampo di genio di avere usato costantemente il linguaggio dei piloti e dei tecnici di volo. Questo stratagemma crea una sorta di patto con il lettore, che capisce fin da subito che non si troverà a leggere un testo strappalacrime che parla della malattia terminale di una giovanissima, ma una metafora dell’esistenza umana, una narrazione poetica che ha momenti lirici e altri comici e scanzonati.

Complimenti all’autore per la sua abilità e per questo romanzo curatissimo, di certo frutto di un lavoro minuzioso di documentazione, studio e confronto. La vittoria del torneo letterario Ioscrittore nel 2021 a mio parere è pienamente meritata, e così la pubblicazione con una casa editrice importante come Tea.